agosto 2014
agosto 2014

Il responsabile di ogni forma di prepotenza, SEI ANCHE TU. 

Se non fai nulla per arginarla normalizzi comportamenti che di normale non hanno proprio nulla. 

 

E’ ancora tempo di vacanze. Settembre, tuttavia, si avvicina e ci approssimiamo all’inizio di un nuovo anno scolastico.

Il problema dei fatti di bullismo e di violenza tra i banchi di scuola, tra la perplessità e lo stupore scatenati tutte le volte che i media raccontano un nuovo episodio agito dai "nostri" ragazzi, configurano ormai un quadro preoccupante che richiama l’attenzione della società intera e in modo particolare della scuola. Essa, infatti, in quanto terminale su cui convergono tensioni e dinamiche del nostro sistema sociale, ivi compreso il fenomeno del bullismo, rappresenta l'istituzione preposta a mantenere un contatto strutturato con i giovani.

Qualche anno fa, grazie alla disponibilità e alla sensibilità dell’allora dirigente scolastico e alla preziosa collaborazione di alcuni insegnanti, utilizzando un finanziamento della Provincia di Latina, ho condotto un’indagine psicologica sul fenomeno “bullismo” nell’Istituto Nautico G. Caboto di Gaeta, ripetuta negli anni successivi in altre scuole del Territorio.

All’indagine, utile strumento per rilevare anche situazioni sommerse di bullismo, sono seguiti interventi mirati in alcune classi e un ciclo di conferenze/dibattito con gli alunni dell’istituto, durante le quali è stato affrontato il “bullismo” sia da un punto di vista psicologico sia da un punto di vista legale.

Sono stata affiancata, infatti, da un avvocato con cui ho integrato le mie competenze psicologiche per informare i ragazzi non solo sulle cause e gli effetti psicosociali connessi alle dinamiche del bullismo, ma anche per renderli consapevoli del fatto, spesso ignorato, che gli atti di bullismo rappresentano dei reati perseguibili civilmente e penalmente, ovvero, che la violazione delle regole, poste a garanzia della libertà di tutti, dà luogo a precise conseguenze sanzionatorie.

Fondamentale per il contrasto ai fenomeni di bullismo si è rivelata la presenza all'interno della scuola di uno sportello d'ascolto, spazio di supporto e di consulenza per risposte pronte, concrete ed efficaci alle richieste d'aiuto provenienti non solo dai ragazzi, ma anche dai genitori e dagli insegnanti. Il bullismo, infatti, non è un problema che riguarda soltanto il bullo e la vittima. Non è sufficiente identificare il bullo e punirlo. Il bullismo riguarda il sistema.

Olweus, un pioniere nello studio scientifico del bullismo, che da molti anni studia il fenomeno nei Paesi Scandinavi, ha affermato  che Il bullismo deve essere cambiato con un approccio dall’alto verso il basso: il preside della scuola deve dire:<<Noi vietiamo il bullismo>; il corpo docente deve dire:<<Noi non permettiamo questo comportamento>>; i genitori devono sapere che se il loro figlio viene accusato di agire comportamenti per sopraffare i più deboli dovranno pagare una multa per risarcire i genitori del ragazzino che ha subito le prepotenze. Bisogna, inoltre, insegnare agli allievi che se vedono qualcuno che fa il prepotente devono cercare di fermarlo, oppure andare dall’insegnante per denunciare ciò che hanno visto come qualcosa di ingiusto. E’ un problema che riguarda tutti, non solo la vittima delle prevaricazioni e del bambino che fa il prepotente. Molti dei ragazzi che fanno i prepotenti hanno subito a loro volta maltrattamenti nei rispettivi contesti familiari. Poi trasferiscono gli abusi subiti in questa nuova situazione in cui, a loro volta, si approfittano di un coetaneo.

Dalla mia ricerca risulta che la maggioranza dei ragazzi conosce il fenomeno “bullismo” e ne individua la giusta definizione: “un insieme di comportamenti offensivi, fisici o verbali, agiti ripetutamente a danno di una persona più debole”.

Si dimostra, inoltre, informata sul fatto che minacciare, offendere, prendere in giro, rappresentano comportamenti perseguibili legalmente, ma ciò non frena la frequenza con cui vengono perpetrati.

Secondo la maggioranza dei ragazzi una delle possibili soluzioni per gli episodi di bullismo consisterebbe nell’applicare punizioni più severe per coloro che agiscono atti di questo tipo. Un’altra consistente percentuale ritiene che la soluzione debba partire dagli adulti di riferimento (insegnanti; genitori) ai quali imputano il dilagare del fenomeno perché non in grado di educare “come si deve” i figli/alunni o di tenerli sotto controllo.

Le vittime di bullismo, indipendentemente dall’età, hanno in comune la caratteristica di non voler parlare della loro situazione e delle conseguenti sofferenze. Si ha paura e vergogna a condividere queste emozioni. Al contrario, per una vittima, il fatto di poter sfogare le proprie frustrazioni, rabbia, paure o problemi con una persona che offre la propria capacità di ascoltatore, garantendo, in caso di necessità, un intervento appropriato, potrebbe essere la via di uscita da una situazione che sembra senza scampo.

Una piccola, ma, importante percentuale di ragazzi, subita una prepotenza, dichiara di non esternare le proprie reazioni emotive: si chiude in se stesso; prova sentimenti di rabbia ma si sente incapace di reagire; piange; subisce e sta male. Sono questi ultimi atteggiamenti che in genere contribuiscono a cristallizzare il ruolo della vittima designata. La più recente letteratura in proposito riporta, infatti, che il ragazzo che recita il ruolo del bullo in genere è portato a perpetrare i propri comportamenti quando la vittima non reagisce e si dimostra in qualche modo intimorita. L’atteggiamento migliore per contrastare comportamenti di prepotenza è ostentare indifferenza, dimostrandosi forti e non impauriti, senza mettere in atto reazioni di alcun tipo. Capacità, quest’ultima, che non tutti i ragazzi riescono a mettere in pratica in mancanza di una predisposizione caratteriale o di un’adeguata preparazione.

La figura dell’insegnante, come figura di riferimento cui esternare le proprie emozioni, non è menzionata dai ragazzi intervistati, nonostante uno dei posti più frequenti dove si contemplano episodi di prepotenze è la scuola/classe, come emerge da quanto dichiarato dai ragazzi stessi.

In Canada, Usa, Giappone e Inghilterra esistono oramai da anni sistemi di intervento “antibullismo” nelle scuole basati sulle tecniche del "Peer Support", che consiste in gruppi di studenti che, formati alle tecniche dell’ascolto attivo e al supporto, offrono aiuto ai loro compagni in difficoltà e che sono solitamente supervisionati da insegnanti a loro volta adeguatamente addestrati.

Data la fascia d’età, il ricorso ad un adulto potrebbe essere vissuto come un fallimento nella propria capacità di risolvere i problemi da solo o comunque temere che i compagni potrebbero interpretare la richiesta di aiuto come un’ulteriore debolezza.

Ufficializzare una figura di mediatore e di ascoltatore specificamente interessato al problema del bullismo all’interno del contesto scolastico in un certo senso comunicherebbe ai ragazzi un messaggio di normalizzazione della richiesta di aiuto.

Tra i ragazzi che affermano di essere stati prepotenti con qualche compagno di scuola circa un terzo non dà una spiegazione del suo comportamento. L'empatia, ossia la capacità di essere in sintonia emozionale, si basa sull'autoconsapevolezza. Tanto più siamo aperti e comprendiamo le nostre emozioni, tanto più sapremo leggere quelle degli altri. Questo è alla base della capacità identificatoria, uno degli elementi carenti negli aggressori, nei confronti delle loro vittime.

        

E’ compito della psicologia sensibilizzare al fatto che questo tipo di male rientra in un sistema e se si vuole cambiarlo non si comincia dal basso incolpando il prepotente. Il bullismo è un sintomo di qualcosa che non va nelle famiglie qualcosa che non va nella scuola la quale permette questo fenomeno. Olweus nei Paesi Scandinavi ha cambiato la situazione. Hanno accettato il suo programma e ha operato una modifica dall’alto verso il basso a cominciare dalla sovraintendenza fino al preside ai docenti coinvolgendo anche i genitori.

 

«Il bullismo nasce e si alimenta dalla totale mancanza di regole, per questo anche la scuola deve cambiare e fornire non solo istruzione, ma soprattutto educazione. Sono gli stessi ragazzi a dirci “siate severi, insegnateci a vivere”, perché hanno bisogno di testimoni autentici che rispettino loro per primi le regole universali del rispetto e dell'educazione» [Paolo Crepet -  psichiatra, psicologo].

 

http://www.smontailbullo.it/webi

 

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