Il segreto di ogni tipo di equilibrio sta nella distensione e nel rilassamento.





Aprile 2015

Scoraggiamento, demotivazione al lavoro, difficoltà di concentrazione, incubi notturni, irritabilità; sensi di colpa e di fallimento; distacco emotivo tendenza a isolarsi; trascuratezza degli affetti e delle relazioni, pessimismo, assenteismo, mancanza di iniziativa, aggressività verso gli utenti, abuso di alcool, droghe e psicofarmaci, disturbi intestinali (gastrite, stitichezza "stipsi”), senso di debolezza "astenia”, emicrania, allergie e asma, insonnia, inappetenza.

Un vero e proprio corteo di fastidiosi e subdoli sintomi, campanelli d’allarme che “urlano” una vera e propria emergenza stress. 

Lo stress lavorativo, può sfociare in una condizione di disadattamento più generalizzata, definita come Sindrome del Burnout, ossia "sindrome del bruciarsi". 

Freudenberger, il primo autore che ha fatto riferimento a questo stato, lo definisce come fallire, logorarsi, consumarsi, essere esaurito dal porre eccesive richieste alle proprie energie, forze e risorse (Freudenberger, 1974).  

Alla base del burnout vi è lo stesso meccanismo che regola lo stress lavorativo e cioè l'eccesso di stimolazioni esterne che incide negativamente sull'abilità adattiva della persona. La differenza è data dal fatto che, mentre nel caso dello stress lavorativo si ha un semplice squilibrio tra risorse e richieste, nel caso del burnout, si ha un vero e proprio insuccesso nel processo di adattamento, accompagnato da un malfunzionamento cronico. Lo stress, in questo caso, si converte in meccanismo di difesa come strategia adottata per rispondere alle tensioni eccessive. I dati sono noti oramai già da qualche anno: nel 2008, l’ Ispesl- Istituto Superiore per la Prevenzione e la Sicurezza del lavoro, ha stimato una percentuale di circa il 10% per un totale di 40 milioni di persone che fanno riferimento allo stress come prima causa di malattia. La sindrome del burnout molto diffusa nelle professioni sanitarie (non solo medici e infermieri, ma anche assistenti sociali e non da ultimi gli insegnanti), non provoca solo danni all’operatore, ma anche a chi dovrebbe "essere curato", perché gli viene a mancare un valido aiuto professionale.

E quando chi ad essere preso in carico è il bambino l'attenzione deve inevitabilmente essere amplificata, tanto più che la presa in carico nel caso dell'insegnante è globale poiché lo stile educativo adottato ha inevitabili ripercussioni sull'intera personalità del discente.

L’insegnamento è una professione usurante, soggetta ad una frequenza di patologie psichiatriche maggiore rispetto alle altre categorie della Pubblica amministrazione: svolgendo una professione altamente ripetitiva e alienante, i docenti sono infatti sottoposti a diversi stress di tipo professionale”. A ricordarlo l’associazione sindacale Anief, preoccupata per la salute dei docenti, a seguito dei risultati emersi da un ampio studio commissionato dall’ente previdenziale INPDAP, che partendo dall’analisi degli accertamenti sanitari per l’inabilità al lavoro, ha operato un confronto tra insegnanti, impiegati, personale sanitario. Ebbene, quelli che operano dietro la cattedra hanno presentato una serie di condizioni stressogene decisamente più alta. I motivi sono molteplici. Vanno ricondotti al rapporto con gli studenti e i genitori, alle classi numerose, al precariato che si protrae per anni, alla conflittualità tra colleghi, alla costante delega da parte delle famiglie. Anche all’avvento dell’era informatica e delle nuove tecnologie, al continuo susseguirsi di riforme, alla retribuzione insoddisfacente. A pesare è anche la sempre più bassa considerazione da parte dell’opinione pubblica.Da un’intervista a Vittorio Lodolo D'Oria, medico ematologo, autore di molti studi sul burnout nella scuola e tra i massimi esperti in materia è emerso che rispetto a pochi anni fa, a livello nazionale i casi sono triplicati: oggi ad ammettere di essere stressato per il lavoro ripetitivo e logorante è quasi l’80 per cento di chi lavora dietro la cattedra. Poi ci sono le vere e proprie patologie. E anche in questo caso non c’è da sottovalutare la situazione. Perché dalle ultime rilevazioni risultano almeno 24 mila psicotici e 120 mila depressi nella categoria. Infine, ci sono tutte le altre malattie della psiche più lievi ma non per questo da trascurare, come i disturbi dell’adattamento e di personalità. Sono dati questi che non bisogna tirar fuori solo quando ipocritamente ci scandalizziamo perché la maestra esasperata urla troppo contro i suoi alunni, nell’auspicabilmente acquisita consapevolezza dell’importanza di un clima disteso e sereno ai fini dell’apprendimento, clima cui contribuisce sicuramente anche lo stato d’animo del docente.

È a questo punto che si inserisce la TECNICA DEL TRAINING AUTOGENO, metodologia ideata dal neurologo berlinese Schultz, può favorire la gestione dello stress, fungendo da ansiolitico naturale (Tosi, 2001).

Il Training Autogeno, oltre che strumento terapeutico nelle mani di persona esperta e abilitata, può essere inteso anche come una sorta di ginnastica psicologica interiore che aiuta ad alleviare la tensione psicofisica e che può essere autonomamente utilizzato da chi si sia sottoposto ad un semplice addestramento.Se si confrontano i sintomi che la sindrome del burnout può sviluppare con i sintomi che la tecnica del Training Autogeno può prevenire ed eliminare si nota una sorprendente sovrapposizione.I sintomi tipici della sindrome del burnout  sono di seguito riportati.Secondo Schultz, l’ideatore, con il training autogeno – autodistensione da concentrazione psichica - si può raggiungere tutto ciò che può essere dato da distensione e immersione psichica: riposo, autodistensione, autoregolazione, miglioramento delle prestazioni, eliminazione del dolore, autodeterminazione, autocontrollo [Bernt H. Hoffmann, Manuale di Training Autogeno].

Queste caratteristiche rendono il Training Autogeno particolarmente indicato nel trattamento dei disturbi d’ansia e dei sintomi legati all’emergenza stress.


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